Alessandro D'Avenia
Palermo 1977
Era d’estate. Nell’antica casa di Palermo in
cui abitavo c’era una stanza, la più interna e fresca: un’alcova di
muri spessi. Quando spira lo Scirocco e l’aria diventa gialla, si bagna
il pavimento di quella stanza e ci si stende per terra, in mutande, la
guancia e i polsi incollati a terra, in croce. Non ci sono finestre, lì
lo Scirocco non può trovarti, perché lo Scirocco fa impazzire, ti viene
“un colpo” se ti trova. È una belva che scioglie le ginocchia e quando
si avvicina c’è quel silenzio che hanno le cose in equilibrio subito
prima di crollare: un palazzo incendiato, prima di precipitare; un
bosco, prima del temporale; la terra, prima di un terremoto. I miei avi
hanno imparato a difendersi dalla bestia che soffia, nascondendosi in
questa stanza irraggiungibile, come il cuore. Infatti se quel vento ti
entra nella testa vedi miraggi, sei uno “sciroccato” si dice, però
passa. Ma se ti entra nel cuore, sei fottuto: ti brucia da dentro e ti
inaridisce, come fa con gli alberi di arance.
Niente è più serio
dello Scirocco nella mia terra. Nella stanza dello Scirocco non resta
che fare i conti con quello che si ha e quello che non si ha. Non c’è
altro. Quello che trovi in quella stanza, nudo, senza niente, ti salva.
Forse per questo mia nonna diceva sempre: Tri sunnu li putenti: u papa, u
re e cu’ nun havi nenti. Ricordo i discorsi sussurrati in quella
stanza, anzi sono gli unici che ricordo. Un giorno, mentre lo Scirocco
mordeva l’aria estiva, screpolava le persiane, abbatteva i cani, parlai
con mio padre. Ero solo un bambino.
“Arriva”
“Chi?”
“Lo Scirocco”
“Come lo sai?”
“Il mare. Lo senti?”
“No”
“Appunto.
Quando il mare rallenta e respira piano, le cicale impazziscono di
paura e lo richiamano a fare il suo dovere. Lui arriva”
“Chi?”
“Te l’ho detto, scimunito. Lo Scirocco”
“E che si fa?”
“Come il mare. Respira piano. Appoggia la guancia al pavimento: aspetta e ascolta”
“Cosa?”
“Storie”
“Che storie?”
“Storie d’amore”
“E perché d’amore?”
“Ne esistono altre?”
“Che ne so, storie di avventura, di battaglie, di mistero…”
“E per cos’altro si va all’avventura, si soffre e si risolvono indovinelli?”
“E tu quali storie sai, papà’”
“Una sola”
“Solo una?”
“Basta e avanza”
“E come fa?”
“C’è
un ragazzo. Suo padre dice che sarebbe ora che si sposasse. Sua madre
dice che sarebbe bello piuttosto che si innamorasse. Suo padre dice che
non c’è differenza. Sua madre dice che la differenza c’è. Suo padre non
dice più nulla, tanto sua moglie ha sempre ragione”
“E poi?”
“E poi s’innamora”
“E finisce così?”
“Perché c’è altro?”
“Lei com’è? Cosa succede?”
“Lei è tua madre. Lui le dice ti amo. Non c’è altro. I dolori, le cadute, le avventure, i misteri, le gioie si dimenticano.”
“Ma di questo sono fatte le storie!”
“Non quando c’è lo Scirocco”
“Perché?”
“Quando c’è lo Scirocco bisogna andare all’osso”
“E qual è l’osso?”
“Quello che resta. Il mare. Il vento. Le stelle. La sabbia”
“E che fanno?”
“Lo sfondo”
“Lo sfondo?”
“Della commedia”
“Quale?”
“Quella di chi è innamorato”
“È una commedia?”
“Sì”
“Perché si ride?”
“No”
“E perché?”
“Perché finisce bene”
“E la tua storia come finisce?”
“Bene”
“E basta?”
“Sì”
“Neanche una lacrima?”
“Continuamente”
“Papà, ma che commedia è se si piange?”
“Figlio mio, che commedia è se non si piange?”
“Che cosa è questo rumore?”
“Quale?”
“Questo tum-tum. Sbattono le porte?”
“No. È il cuore, scimunito”
“Che ne so io che si sente il cuore nel pavimento…”
“Il giorno che non lo senti, vuol dire che lo Scirocco te l’ha bruciato. Quella è una tragedia…”
“Il mio è più veloce del tuo, papà, lo senti?”
“Lo so”
“Perché?”
“Perché ama poco”
“Perché quando ama rallenta?”
“Certo”
“E perché?”
“Perché non ha fretta”
“E poi?”
“E poi si ferma”
“Quando?”
“Quando non ha più fretta per niente”
“E quand’è?”
“Quando finisce la commedia”
“E che succede?”
“Si ride”
“Che è sto silenzio?”
“È arrivato, se senti il silenzio…”
“Beddamatri, fa scantari!”
“Lascia stare mamma. E poi non è una disgrazia…”
“Ma se bisogna nascondersi, parlare piano… Fa paura lo Scirocco”
“Tu sei figlio dello Scirocco”
“Io?”
“Era un giorno di Scirocco terribile, i fiori e i cani fuori morivano, e tua madre e io eravamo qui per terra…”
“E allora?”
“Scimunito, a te lo Scirocco t’è rimasto in testa”
IL FIGLIO DELLO SCIROCCO
Era il 2 luglio ed anche io nascevo a Palermo in un giorno di scirocco, caldo, caldissimo, insopportabile, che toglieva il respiro. E quello affanato di mia madre si confondeva col soffio arido del vento. Trascinava tutto nella sua corsa infuocata, le carte, le foglie e le faceva rotolare in piccoli vortici lungo i marciapiedi di Corso Calatafimi quasi deserto. Era così caldo che le candele, nei candelabri della camera da pranzo, si piegarono. Era un sabato alle 11:15.