Ruggero Ruggiero
testo ispirato in occasione della visita alla mia mostra Veneri Violate
luglio/agosto 2013
CIOTTOLI VENUTI DAL MARE
Sudicia come pezza imbrattata di
grasso, scorgo da terra una lingua di cielo repentinamente oscurata da cirri
tumefatti che decompongono ogni pensiero.
Asciugo lacrime con un lembo di
camicia rosso vermiglio che maschera sangue colato dalle labbra gonfie e rotte,
mentre filamenti di bava incollati al palato gocciolano lungo il collo
graffiato.
Avverto dolore fuori, disperazione
dentro. L’odore nauseabondo del mio vomito si spande nell’area liquefacendosi
con la pioggia che inizia a bagnarmi.
Perché io? Perché io? Perche io?
Come viscido lombrico, contraggo il
corpo verso l’uscita del tunnel dove sono riversa. A ogni movimento,
corrisponde una lancinante fitta come aculei spinti nella carne viva. Il dolore è incredibile e a pensarci bene, è
anche meglio; se non altro allontano da me l’idea di donna annientata.
Strappo la gonna, o perlomeno
quello che resta di essa per tamponare la ferita alla testa. Il calore della
stoffa sotto la nuca produce calore e un po’ di apparente sollievo. Devo uscire da questo vicolo. Anche se ho
poca possibilità di essere vista devo provarci.
Provo a sollevarmi, con fatica
resto in piedi. Aggrappata su un bidone d’immondizia resisto, anche se le
tremanti gambe vorrebbero abbandonarmi.
Procedo scalciando bottiglie di birra vuote che impediscono il passaggio,
con una di esse mi taglio, reagisco bestemmiando, pentendomi nello stesso tempo
di averlo fatto. Insisto e quasi in prossimità dell’uscita, intravedo la mia
macchina sotto una fioca luce di lampione.
La pioggia pulisce il mio volto
ricoperto di sangue quando provo a esplorare questo lurido posto desolato e
perso come un luna park derelitto, ma le pupille sature di pianto, riescono a
distinguere solo ratti e ragni che si addentrano nel rasente buio.
Raccolgo da terra un foglio di
giornale per cercare in qualche modo di ripararmi. Il quotidiano inzuppato di panzane propone in
prima pagina la notizia del giorno: l’elezione di un nuovo papa di nome
Bergoglio.
Dovrei pregare! ma sono esausta
preferisco oltraggiare il destino.
Accasciata su un fianco percepisco
una sagoma avvicinarsi: raggomitolando indietreggio. Sento la sua voce pronunciare parole
rassicuranti; è straniera, quieta, dal carattere romanzato. Avverto la sua mano
che con delicatezza mi soleva.
Capelli lunghi e sporchi
incorniciano una sudicia barba. Il suo viso incavo, mette in luce due occhi
naufraghi, come ciottoli venuti del mare.
Gli chiedo chi sei. Mi risponde, non lo so, vivo fra le macerie di
questi luoghi, mi chiamo Francesco.
Nessun commento:
Posta un commento