sabato 27 luglio 2013

Veneri Violate



LeVeneriViolate
Qualcuno ha voluto interpretare la presenza degli occhi “vuoti” in molti ritratti di Modigliani come l’impossibilità del pittore di comunicare con le donne da lui incontrate o come il timore di non riuscire a costruire un rapporto d’amore completo. Più semplicemente, probabilmente, l’artista non riusciva a leggere nell’anima, simboleggiata dagli occhi, delle sue donne e suo malgrado lasciava quegli spazi vuoti e senza senso, ma ancor più espressivi perché densi e indagatori. Un concetto tanto profondo quindi è stato rappresentato materialmente con un’assenza, una mancanza che testimonia la difficoltà di comprendere l’interno e quindi di conoscere. Una insufficienza di analisi che può essere prima un’accusa verso se stessi e poi verso il mondo. Le opere di Di Miceli presentano parimenti delle parti mancanti o celate che ci pongono di fronte al problema della scelta. Nascondere per condannare è un’operazione molto più intensa e mirata che svelare per mostrare, poiché l’assenza, in questo caso di forme (una bocca, un occhio, una porzione di viso), ci rimanda al motivo scatenante che è quello della violenza sulle donne come sintetizzato brillantemente dal titolo “Le veneri violate”. Nella separazione si rinvia alla condanna con lo stile volutamente pop che amplifica la percezione delle immagini, le quali hanno tutta l’evidenza delle rappresentazioni consumistiche legate alla pubblicità. La comunicazione risulta immediata, le figure leggibili e per nulla ambigue nelle forme, ma il complesso d’insieme ci svela l’errore e la denuncia e pertanto il colpo d’occhio risulta di forte impatto emotivo appunto perché la mostra cerca, attraverso la forza del simbolo, di riscattare la violenza con la pittura. Una sottile sensazione di perturbante rimane come rumore di fondo, mantenendo vigile la nostra attenzione. Molto interessante altresì lo spazio dedicato alla parola e alla letteratura con una illuminante frase di Kafka che ci apre infiniti orizzonti di riflessione: «La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità; vera è la luce sul volto che arretra con una smorfia, nient’altro». L’arte viene ricondotta a un’espressione fisionomica, a una smorfia, che ci fa comprendere come il senso sia da ricercare in un’origine dimenticata o un una trascendenza soprasensibile capace poi di sprigionare la forza della verità. Diceva Goethe «Chi è nell’errore conferma con la violenza ciò che gli manca in verità e forza»: chi è nell’errore, chi compie il male con la brutalità della violazione, è lontano dalla verità e dalla bellezza, e a livello di coscienza forse solo l’artista può rispondergli con la condanna della propria arte. Secondo Baudrillard «la nostra società ha dato vita a una generale estetizzazione: tutte le forme culturali – comprese quelle della contro-cultura – sono soggette a meccanismi di promozione, e tutte le modalità [ad esse connesse] di rappresentazione o non-rappresentazione ne fanno parte». Il post-moderno, quindi, si giova anche della violenza intesa come oggetto mediatico e di consumo trasfigurato in immagine e segno dalla commercializzazione indifferenziata. Ma la violenza trattata dall’arte nel post-moderno non è catarsi o condanna, è semplicemente estetizzazione indifferenziata. La riflessione di Di Miceli sulle forme di violenza, invece, cerca di superare l’idea dello “spettacolo” al quale sempre più spesso siamo abituati per mostrare, attraverso le assenze (assenza di forme, di colori, di espressioni, di sguardi) e le mancanze, e questo perenne tentativo di cercare il vero, le trasformazioni in immagini di impressioni, letture e vissuto personale nel tentativo di dar senso e luce ad un fenomeno tanto complesso. L’artista attraverso il sintomo e la parola cerca di indagare l’orrore e la bellezza, la violenza e la pacificazione, per risolvere il dolore in sostanza segnica. La complessità della violenza, trasfigurata dall’arte e dalla pittura, ci può allora anche parlare di noi stessi in rapporto col mondo e col prossimo. E questa possibilità che l’artista ci offre in mostra è forse il pregio più significativo della sua intuizione artistica.
Tommaso Evangelista

Inaugurazione


venerdì 12 luglio 2013

Il suo compleanno

È vietato piangere senza imparare,
alzarti al mattino senza saper cosa fare,
aver paura dei ricordi
È vietato non sorridere ai problemi,
non lottare per ciò che vuoi,
abbandonare tutto per paura,
non far diventare i tuoi sogni realtà.
È vietato non dimostrare il tuo amore,
far pagare a qualcuno i tuoi debiti e il tuo malumore
È vietato abbandonare i tuoi amici
non tentare di capire ciò che avete vissuto insieme
chiamarli soltanto quando hai bisogno
È vietato non fare le cose per te stesso
non creder in Dio e fare il tuo destino
Aver paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo respiro
È vietato sentire la mancanza di qualcuno senza rallegrarsi,
dimenticare i suoi occhi e la sua risata
solo perché le vostre strade non si incrociano più
È vietato dimenticare il tuo passato e pagarlo con il tuo presente.
È vietato non tentare di capire le persone,
pensare che le loro vite valgano più della tua
non sapere che ognuno ha il suo cammino e la sua gioia
È vietato non creare la tua storia
smettere di ringraziare Dio per la tua vita,
non avere dei momenti per la gente
che ha bisogno di te,
non capire che ciò che ti da la vita
te la può anche togliere.
È vietato non cercare la tua felicità
non vivere la tua vita con un atteggiamento positivo
non pensare che potremmo essere migliori
non sentire che senza di te questo mondo non sarebbe uguale

Pablo Neruda
Parral 12 Luglio 1904
 


mercoledì 10 luglio 2013

'U Fistinu n° 389

La Festa di Santa Rosalia in dialetto "'u fistinu" si svolge tutti gli anni nel corso del mese di luglio a Palermo dal 10 al 15.
Le origini di questa celebrazione risalgono al 1624 quando la città di Palermo, martoriata dalla peste e la sua popolazione si affidavano invano alle sante protettrici della città: Santa Cristina, Sant'Agata, Sant'Oliva e Santa Ninfa. Durante la crisi, la leggenda narra che, l'allora poco conosciuta Santa Rosalia apparve ad un saponaio che si chiamava Vincenzo Bonello, indicando ove fossero le proprie spoglie e comandando che solamente se i propri resti fossero stati portati in una grande processione la peste sarebbe passata.
Le reliquie della Santa vennero effettivamente trovate nella grotta indicata dalla visione e il giorno 15 luglio l'arcivescovo seguito dal resto del clero, dal senato di Palermo e da alcuni cittadini importanti fecero una processione lungo le strade della città con i resti della santa. In pochissimo tempo la peste venne spodestata. Dal 1625 la Chiesa autorizzò quindi il culto, anche se Rosalia venne fatta santa solo il 26 gennaio 1630.

Rosalia Sinibaldi  (Palermo1128 - 4 settembre 1165) era una giovinetta di nobile famiglia che, sentendo la forte vocazione per una vita di eremitaggio secondo le regole monastiche bizantine, abbandonò gli agi della casa paterna per vivere in una grotta del Monte Pellegrino, il promontorio che sovrasta Palermo.
Dopo la sconfitta della peste Rosalia Sinibaldi fu proclamata protettrice della città e chiamata dal popolo, con affetto,
 “La Santuzza.



                                                         
un carro realizzato nel 1821

 Il Carro ai Quattro Canti

La festa giunge al proprio apice nella notte del 14 luglio, con una processione solenne che parte dal Palazzo dei Normanni, lungo le vie del Cassaro sino al mare, passando presso la Porta Felice, seguendo un itinerario ideale dalla morte alla vita con la luce dei fuochi d'artificio sul litorale.
La processione, formata da un carro trionfale con su la statua di Santa Rosalia, trainato dai buoi, e con carri allegorici, fa uno stop dinnanzi alla Cattedrale, ai quattro canti (in cui il sindaco in carica depone dei fiori ai piedi della Santa gridando "Viva Palermo e Santa Rosalia!") e alla Marina, dove si svolge ogni anno un grande spettacolo pirotecnico accompagnato da musica eseguita dal vivo. Accompagnano la processione canti di devozione in rima.


  La Cattedrale 

 I Fuochi

 Un banco con calia e simenza

Durante la festa si consumano molti cibi che fanno parte della tradizione popolare palermitana come per esempio la Pasta con le sarde , i babbaluci, lo sfincione, il polpo bollito, Calia e simenza e l'Anguria.



Non sono che quello che sono






Io di più non posso darti.
Non sono che quello che sono.
Ah, come vorrei essere
sabbia, sole, in estate!
Che tu ti distendessi
riposata a riposare.
Che andando via tu mi lasciassi
il tuo corpo, impronta tenera,
tiepida, indimenticabile.
E che con te se ne andasse
sopra di te, il mio bacio lento:
colore,
dalla nuca al tallone,
bruno.
Ah, come vorrei essere
vetro, tessuto, legno,
che conserva il suo colore
qui, il suo profumo qui,
ed è nato tremila chilometri lontano!
Essere
La materia che ti piace,
che tocchi tutti i giorni,
che vedi ormai senza guardare
intorno a te, le cose
- collana, profumi, seta antica -
di cui se senti la mancanza
domandi: Ah, ma dov'è?.
Ah, come vorrei essere
un'allegria fra tutte,
una sola,
l'allegria della tua allegria!
Un amore, un solo amore:
l'amore di cui tu ti innamorassi.
Ma
non sono che quello che sono.


Pedro Salinas

Padova