LeVeneriViolate
Qualcuno ha voluto interpretare la presenza degli occhi
“vuoti” in molti ritratti di Modigliani come l’impossibilità del pittore di
comunicare con le donne da lui incontrate o come il timore di non riuscire a
costruire un rapporto d’amore completo. Più semplicemente, probabilmente,
l’artista non riusciva a leggere nell’anima, simboleggiata dagli occhi, delle
sue donne e suo malgrado lasciava quegli spazi vuoti e senza senso, ma ancor
più espressivi perché densi e indagatori. Un concetto tanto profondo quindi è
stato rappresentato materialmente con un’assenza, una mancanza che testimonia
la difficoltà di comprendere l’interno e quindi di conoscere. Una insufficienza
di analisi che può essere prima un’accusa verso se stessi e poi verso il mondo.
Le opere di Di Miceli presentano parimenti delle parti mancanti o celate che ci
pongono di fronte al problema della scelta. Nascondere per condannare è
un’operazione molto più intensa e mirata che svelare per mostrare, poiché
l’assenza, in questo caso di forme (una bocca, un occhio, una porzione di
viso), ci rimanda al motivo scatenante che è quello della violenza sulle donne
come sintetizzato brillantemente dal titolo “Le veneri violate”. Nella
separazione si rinvia alla condanna con lo stile volutamente pop che amplifica
la percezione delle immagini, le quali hanno tutta l’evidenza delle
rappresentazioni consumistiche legate alla pubblicità. La comunicazione risulta
immediata, le figure leggibili e per nulla ambigue nelle forme, ma il complesso
d’insieme ci svela l’errore e la denuncia e pertanto il colpo d’occhio risulta
di forte impatto emotivo appunto perché la mostra cerca, attraverso la forza
del simbolo, di riscattare la violenza con la pittura. Una sottile sensazione
di perturbante rimane come rumore di fondo, mantenendo vigile la nostra
attenzione. Molto interessante altresì lo spazio dedicato alla parola e alla letteratura
con una illuminante frase di Kafka che ci apre infiniti orizzonti di
riflessione: «La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità;
vera è la luce sul volto che arretra con una smorfia, nient’altro».
L’arte viene ricondotta a un’espressione fisionomica, a una smorfia, che ci fa
comprendere come il senso sia da ricercare in un’origine dimenticata o un una
trascendenza soprasensibile capace poi di sprigionare la forza della verità. Diceva Goethe «Chi è nell’errore
conferma con la violenza ciò che gli manca in verità e forza»: chi è
nell’errore, chi compie il male con la brutalità della violazione, è lontano
dalla verità e dalla bellezza, e a livello di coscienza forse solo l’artista
può rispondergli con la condanna della propria arte. Secondo Baudrillard «la nostra società ha dato vita a una
generale estetizzazione: tutte le forme culturali – comprese quelle della
contro-cultura – sono soggette a meccanismi di promozione, e tutte le modalità
[ad esse connesse] di rappresentazione o non-rappresentazione ne fanno parte».
Il post-moderno, quindi, si giova anche della violenza intesa come oggetto
mediatico e di consumo trasfigurato in immagine e segno dalla
commercializzazione indifferenziata. Ma la violenza trattata dall’arte nel
post-moderno non è catarsi o condanna, è semplicemente estetizzazione
indifferenziata. La riflessione di Di Miceli sulle forme di violenza, invece,
cerca di superare l’idea dello “spettacolo” al quale sempre più spesso siamo
abituati per mostrare, attraverso le assenze (assenza di forme, di colori, di
espressioni, di sguardi) e le mancanze, e questo perenne tentativo di cercare
il vero, le trasformazioni in immagini di impressioni, letture e vissuto
personale nel tentativo di dar senso e luce ad un fenomeno tanto complesso. L’artista
attraverso il sintomo e la parola cerca di indagare l’orrore e la bellezza, la
violenza e la pacificazione, per risolvere il dolore in sostanza segnica. La
complessità della violenza, trasfigurata dall’arte e dalla pittura, ci può
allora anche parlare di noi stessi in rapporto col mondo e col prossimo. E
questa possibilità che l’artista ci offre in mostra è forse il pregio più
significativo della sua intuizione artistica.
Tommaso Evangelista
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