martedì 31 gennaio 2012

Dagoberto cresce




La notte lava la mente


Mario Luzi
Sesto Fiorentino 1914 - Firenze 2005



La notte lava la mente.
Poco dopo si è qui come sai bene,
file d'anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.



lunedì 30 gennaio 2012

Agatha Christie

Agatha Mary Clarissa Miller / Agatha Christie 
Torquay 1890 - Wallingford 1976





irresistibile Miss Marple



 inarrivabile Hercule Poirot


una scrittrice e i suoi straordinari personaggi

Alicante

Jacques Prévert
Neuilly sur Seine 1900 - Ormonville la Petite 1977

Un'arancia sul tavolo
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto, tu

Dolce dono del presente
Frescura della notte
Calore della mia vita.




Posso scrivere i versi più tristi stanotte

Posso scrivere i versi più tristi stanotte
Scrivere, per esempio, "la notte è stellata
E tremano, azzurri, gli astri in lontananza"
E il vento della notte gira nel cielo e canta
Posso scrivere i versi più tristi stanotte
Io l'ho amata e a volte anche lei mi amava
In notti come questa l'ho tenuta tra le braccia
L'ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch'io l'amavo
Come non amare i suoi grandi occhi fissi?
Posso scrivere i versi più tristi stanotte
Pensare che non l'ho più
Sentire che l'ho persa
Sentire la notte immensa ancora più immensa senza lei.
E il verso cade sull'anima come la rugiada sul prato
Che importa che il mio amore non abbia saputo fermarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
Questo è tutto
Lontano qualcuno canta
Lontano
La mia anima non si rassegna di averla persa.
Come per avvicinarla, il mio sguardo cerca
Il mio cuore la cerca
E lei non è con me.
La stessa notte che sbianca gli stessi alberi.
Noi, quelli di allora, più non siamo gli stessi.
Io non l'amo più, è vero
Ma quanto l'ho amata.
La mia voce cercava il vento per arrivare alle sue orecchie.
Di un altro,sarà di un altro, come prima dei miei baci
La sua voce, il suo corpo chiaro
I suoi occhi infiniti.
Ormai non l'amo più, è vero
Ma forse l'amo ancora.
È così breve l'amore e così lungo l'oblio
E siccome in notti come questa l'ho tenuta tra le braccia
La mia anima non si rassegna di averla persa
Benché questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa
E questi gli ultimi versi che io le scrivo
Pablo Neruda

Il tuo sorriso


Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.

Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.
Pablo Neruda

Beatles


 1969 - Roma, via Palestro, 34

Rod Picott



Io non ho bisogno di denaro

Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....

Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini

Io ti chiesi, Canzone d'amore

Io ti chiesi

Io ti chiesi perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.

Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto 

Canzone d'amore

Per dire cos' hai fatto
di me, non ho parole.
cerco solo la notte
fuggo davanti al sole.

La notte mi par d'oro
più di ogni sole al mondo,
sogno allora una bella
donna dal capo biondo.

Sogno le dolci cose,
che il tuo sguardo annunciava,
remoto paradiso
di canti risuonava.

Guarda a lungo la notte
e una nube veloce-
per dire cos' hai fatto
di me, non ho la voce.

Hermann Hesse

sabato 28 gennaio 2012

Concerto Grosso

 


 1971
regalo di mio padre 









                                                               ascoltato all'infinito

lunedì 23 gennaio 2012

La lettera lungo la strada

Addio, ma con me
sarai, verrai dentro
una goccia di sangue che circolerà nelle mie vene,
o fuori, bacio che mi brucia il volto
o cinturone di fuoco nella mia cintola.
Dolce mia, accogli
il grande amore che uscì dalla mia vita
e che in te non trovava territorio
come l'esploratore sperduto
nell'isola del pane e del miele.
Io ti trovai dopo
la tormenta,
la pioggia lavò l'aria
e nell'acqua
i tuoi dolci piedi brillarono come pesci.
Adorata, vado alle mie battaglie.
Graffierò la terra per farti una grotta
lì il tuo Capitano
t'attenderà con fiori nel letto.
Non pensar più, mia dolcezza,
al tormento
che passò tra di noi
come un fulmine di fosforo
lasciandoci forse la sua bruciatura.
Venne anche la pace, perché torno
a lottare alla mia terra,
e poiché ho il cuore completo
con la parte di sangue che mi desti
per sempre,
e poiché
reco
le mani piene del tuo essere nudo,
guardami,
guardami,
guardami per il mare, che vado raggiante,
guardami per la notte che navigo,
e mare e notte sono gli occhi tuoi.
Non sono uscito da te quando m'allontana.
Ora ti racconterò:
la mia terra sarà tua,
vado a conquistarla,
non solo per darla a te,
ma per tutti,
per tutto il mio popolo.
Un giorno il ladro uscirà dalla sua torre.
E l'invasore sarà espulso.
Tutti i frutti della vita
cresceranno nelle mie mani,
prima abituati alla polvere da sparo.
E saprò accarezzare i nuovi fiori,
perché tu m'insegnasti la tenerezza.
Dolce mia, adorata,
verrai con me a lottare a corpo a corpo
perché nel mio cuore vivono i tuoi baci
come bandiere rosse,
e se cado, non solo
mi coprirà la terra,
ma questo grande amore che mi recasti
e che visse circolando nel mio sangue.
Verrai con me,
in quell'ora ti attendo,
in quell'ora e in tutte le ore,
in tutte le ore ti attendo.
E quando verrà la tristezza che odio
a bussare alla tua porta,
dille che io ti attendo;
e quando la solitudine vorrà che cambi
l'anello in cui sta scritto il mio nome,
di' alla solitudine che parli con me,
che io dovetti andarmene
perché sono un soldato,
e che là dove sono,
sotto la pioggia o sotto
il fuoco,
amor mio, t'attendo,
t'attendo nel deserto più duro
e presso il limone fiorito:
in ogni parte dove sia la vita,
dove la primavera sta nascendo,
amore mio, t'attendo.
Quando ti diranno « Quell'uomo
non t'ama. » , ricorda
che i miei piedi son soli in quella notte, e cerca
i dolci e piccoli piedi che adoro.
Amore, quando ti diranno
che t'ho dimenticata, e anche se
sarò io a- dirlo,
quando io te lo dirò,
non credermi
chi e come potrebbe
reciderti dal mio petto,
e chi raccoglierebbe
il mio sangue
quando verso di te m'andassi dissanguando?
Me neppure posso
dimenticare il mio popolo.
Vado a lottare in ogni strada,
dietro ogni pietra.
Anche il tuo amore m'aiuta:
È un fiore chiuso
che ogni volta mi empie del suo aroma
e che s'apre d'improvviso
dentro di me come una grande stella.
Amore mio, è notte.
L'acqua nera, il mondo
addormentato, mi circondano.
Poi verrà l'aurora,
e nel frattempo io ti scrivo
per dirti: « Ti amo » .
Per dirti: « Ti amo » , cura,
pulisci, innalza,
difendi
il nostro amore, anima mia.
Io te lo lascio come se lasciassi
un pugno di terra con semi.
Dal nostro amore nasceranno vite.
Nel nostro amore berranno acqua.
Forse arriverà un giorno
in cui un uomo
e una donna, uguali
a noi,
toccheranno questo amore, e ancora avrà forza
per bruciare le mani che lo toccheranno.
Chi fummo? Che importa?
Toccheranno questo fuoco,
e il fuoco, dolce mia, dirà il tuo semplice nome
e il mio, il nome
che tu sola sapesti, perché tu sola
sulla terra sai
chi sono, e perché nessuno mi conobbe come una,
come una sola delle tue mani,
perché nessuno
seppe come, né quando,
il mio cuore stette ardendo:
solamente
i tuoi grandi occhi grigi lo seppero,
la tua grande bocca,
la tua pelle, i tuoi seni,
il tuo ventre, le tue viscere
e l'anima tua che io risvegliai
perché restasse
a cantare fino alla fine della vita.
Amore, t'attendo.
Addio, amore, t'attendo.
Amore, amore, t'attendo.
Così questa lettera termina
senza nessuna tristezza:
sono fermi i miei piedi sulla terra,
la mia mano scrive questa lettera lungo la strada,
e in mezzo alla vita sarò
sempre
vicino all'amico, di fronte al nemico,
col tuo nome sulle labbra,
e un bacio che giammai
s'allontanò dalla tua bocca.
Pablo Neruda

La poesia dell'amore eterno



Il postino

Michael Radford
1994


 
Quando la spieghi la poesia diventa banale, 
meglio di ogni spiegazione 
è l'esperienza diretta delle emozioni 
che può svelare la poesia 
ad un animo predisposto 
a comprenderla. 
Pablo Neruda


Massimo Troisi morì appena 12 ore la fine delle riprese del film


Il profumo del mosto selvatico

Alfonso Arau
Città del Messico 1932


1995

Tu sei la mia mente

Tu sei per la mia mente come il cibo per la vita,
Come le pioggie di primavera sono per la terra;
E per goderti in pace combatto la stessa guerra
Che conduce un avaro per accumular ricchezza.

Prima orgoglioso di possedere e, subito dopo,
Roso dal dubbio che il tempo gli scippi il tesoro;
Prima voglioso di restare solo con te,
Poi orgoglioso che il mondo veda il mio piacere.

Talvolta sazio di banchettare del tuo sguardo,
Subito dopo affamato di una tua occhiata:
Non possiedo nè perseguo alcun piacere
Se non ciò che ho da te o da te io posso avere.

Così ogni giorno soffro di fame e sazietà,
Di tutto ghiotto e di ogni cosa privo.

 William Shakespeare

così straordinario, così intenso, così contemporaneo

Se tu mi dimentichi

Pablo Neruda



giovedì 19 gennaio 2012

La guerra dei bottoni

Yves Robert

SAUMUR1920 - PARIGI 2002

1961


...l'uguaglianza,
i poveri e i ricchi, 
la monarchia e la repubblica, 
i diritti, i doveri
l'amore e l'ingiustizia, 
il bisogno di una vita propria
 le necessità di sempre e di tutti....
 Roma, cinema Ambasciatori 

Rabindranath Tagore

Calcutta 1861 - Santiniketan 1941



Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio: temo che
il mio cuore mi salga alle labbra.
Ecco perche' parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.

Se tu venissi in autunno




















Se tu venissi in autunno,
Io scaccerei l'estate,
Un po' con un sorriso ed un po' con dispetto,
Come scaccia una mosca la massaia.

Se fra un anno potessi rivederti,
Farei dei mesi altrettanti gomitoli,
Da riporre in cassetti separati,
Per timore che i numeri si fondano.

Fosse l'attesa soltanto di secoli,
Li conterei sulla mano,
Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
Nella Terra di Van Diemen.


Fossi certa che dopo questa vita
La tua e la mia venissero,
Io questa getterei come una buccia
E prenderei l'eternità.

Ora ignoro l'ampiezza
Del tempo che intercorre a separarci,
E mi tortura come un'ape fantasma
Che non vuole mostrare il pungiglione.
Emily Dickinson



Italo Calvino


Santiago de Las Vegas 1923 - Siena 1985




Le nostre distanze un pò s'accorciavano un pò s'allungavano, 
ma ormai era chiaro che l'uno non avrebbe 
mai raggiunto l'altro nè mai l’altro l’uno. 
Di giocare a rincorrerci avevamo perso ogni gusto, 
e del resto non eravamo più bambini, ma ormai non ci restava altro da fare.  







«Un ragazzo sale su di un albero, si arrampica tra i rami,
passa da una pianta all'altra, decide che non scenderà più.
L'autore del libro non ha fatto che sviluppare questa immagine
e portarla alle estreme conseguenze:
il protagonista trascorre l'intera vita sugli alberi,
una vita tutt'altro che monotona, anzi:
piena d'avventure, e tutt'altro che da eremita,
però sempre mantenendo tra sé e i suoi simili
questa minima ma invalicabile distanza.»







Le città invisibili
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; 
se ce n'è uno, è quello che è già qui, 
l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. 
Il primo riesce facile a molti: 
accettare l'inferno 
e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esigere attenzione e apprendimento continui: 
cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, 
non è inferno, e farlo durare e dargli spazio.


 
Le Cosmicomiche

lunedì 16 gennaio 2012

l'Attimo fuggente

  Cogli l'attimo, cogli la rosa quand'è il momento, perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà. 
John Keating - Robin Williams



1989 
Peter Weir

O Capitano, mio Capitano

 

WALT WHITMAN  

Weat Hilla 1819 - Camden 1892 



O Capitano! mio Capitano! 
il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l'ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,

Gli occhi seguono la solida chiglia, l'audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

O Capitano! mio Capitano! àlzati e ascolta le campane; àlzati,
Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te
I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti,
Qua Capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
É un puro sogno che sul ponte
Cadesti morto, freddato.

Ma non risponde il mio Capitano, immobili e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere;
La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito,
Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane!
Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.


sabato 14 gennaio 2012

iGallery

7 gennaio 2012

 la mia prima mostra dell'anno

I Mutanti










Collettiva d’arte partecipativa che si pone come linea guida quella dell’interazione del fruitore con le opere presentate. Partendo dall’idea, archetipica, del toccare (touch) ormai comune a molti strumenti tecnologici comunicativi si è cercato, evitando il virtuale, di proporre dei lavori “aperti” da completare con il coinvolgimento del pubblico inteso come una sorta di artista capace, con la sua azione, di dar nuova vitalità alle opere. Una mostra dove è vietato non toccare poiché il senso è in divenire. Gli artisti invitati hanno realizzato opere ed installazioni appositamente per l’evento che si pone come innovativa esperienza estetica e percettiva.

iGallery. Ipotesi per un’arte partecipata.
(In)civiltà dell’immagine che logora la forma attraverso l’esasperazione del mostrare e annulla il corpo retrocedendolo ad impuro simulacro di mali. Un eccesso di visionari senza visione che usurano il mondo dimenticandosi delle sue meccaniche logiche per presentarlo come vuota assurdità. La ricerca dell’interessante diventa perdita dell’ingenuità visiva e la linea analitica dell’arte moderna si disperde nell’ossessione del disgusto: “non più vedere, neppure pensare, ma sentire”[1], come la lepre morta che ascoltava le parole di Joseph Beuys. Conseguenza dell’immaginazione al potere è stato lo svuotamento dell’arte che pur, fino alla pop art, manteneva una certa linea antagonista al sistema. Se per uscire da una vuota arte borghese i futuristi dovettero uccidere il “chiaro di luna” e immaginare una Venezia industriale, di cosa ci dovremmo privare oggi per venire fuori da un sistema autoreferenziale e ormai logoro giunto al massimo della sua insensatezza? Installazioni che occupano uno spazio al solo scopo di destrutturarlo, fredda pittura da cavalletto che spreme fin all’ultima goccia le declinazioni dell’informale o che, recuperando solo la superficie illusoria del surrealismo, veste di colori pop l’immaginario contemporaneo sono linguaggi esauriti? Del resto l’estetica relazionale, sostanzialmente materialista, basata sulla “partecipazione” dello spettatore in happening o performance, sembra perdere forza in quanto una “situazione”, per quanto evento strutturato, non sarà mai una parte di mondo o tantomeno tempo vissuto. Nel distaccarsi a priori dalle logiche dell’esistenza (morale ed etica comprese) più che far agire liberamente l’individuo lo porta sostanzialmente verso una regressione; tempo e spazio che agiscono sono già strutturati e impost(at)i dall’artista. Più logico, e forse interessante, sarebbe parlare di “evento”:  “Evento è tutto ciò su cui non c’è accordo percettivo, interpretativo e valutativo” recita la teoria eventualista formulata da Sergio Lombardo con i suoi concetti di minimalità, astinenza espressiva, strutturalità, spontaneità, interattività, eventualità e profondità. Un approccio partecipativo dovrebbe implicare il coinvolgimento attivo del pubblico: non solo vedere o “sentire” ma agire autonomamente a determinati stimoli il meno possibile ambigui, evitare la vuota relazione che sta alla vita come nell’arte l’immagine pubblicitaria sta alla pittura in quanto eccesso del visibile istituzionalizzato. L’invadenza spettacolare delle immagini con la pianificazione del marketing è come la performance che formalizza un episodio e, attraverso l’estetizzazione di tutto il corpo e di tutti i sensi, non fa che “consumare” la vita. Il rischio, lo si intuisce subito, è una sostanziale perdita della libertà personale: più accettiamo e avalliamo l’eccesso e più siamo schiavi di un’estenuazione estetica oltre che di un impoverimento etico e sociale; come l’operaio che lavora alla catena di montaggio ed è meccanizzato nel compiere un’esperienza ormai anestetica. Esperienza allora è la parola chiave se vogliamo tentare il discorso di un’ipotesi di arte partecipata a patto che l’esperienza sia positiva e rivelatrice delle nostre condizioni o permetta quello scarto capace di far nascere in noi uno stimolo di senso. Oggi, tanto nell’arte quanto nella vita, sembra non esserci più un senso (lucido e positivo) sia perché manca un centro e sia perché i vari micro centri sono in conflitto, quanto non in contraddizione, tra di loro. Attribuire un significato a stimoli spesso ambigui è un processo che destruttura, alla lunga, l’unità della persona poiché il processo di completamento può risultare forviante se il fruitore risulta sprovvisto del giusto bagaglio culturale.
L’esperienza, quindi, oltre che stimolante e gratificante deve essere anche qualitativamente qualificata e per ottenere questo bisogna tornare a focalizzarsi sul processo più che sul prodotto, sulla percezione più che sul percepito, sulla costruzione più che sulla disgregazione. E’ esperienza, sono esperienza, tutti quei “modi” (o modalità) che ci mettono attivamente o passivamente alla presenza di oggetti. Oggi l’arte contemporanea è il luogo, istituzionalizzato ma impoverito, della sensibilità personale dell’artista il quale, pur quando realizza atti performativi per il vasto pubblico, concretizza sempre opere da fruire passivamente. L’arte oggi è un esercizio dell’emotività ed è passiva in quanto tutto il vuoto sistema, per funzionare in maniera autoreferenziale, ha bisogno dell’eccesso di stimoli e dell’assenza di giudizio. Partecipare attivamente (e soggettivamente) ad un’opera d’arte, allora, diventa un atto quasi rivoluzionario perché mina dal fondo la tenuta del sistema. Arte come esperienza (art as experience) quindi, e, se vogliamo, arte come partecipazione, e non esperienza come arte. Dall’estetica relazionale siamo arrivati, seguendo Dewey, ad un’estetica empiristica: “l’estetico […] è lo sviluppo chiarificato e intensificato di tratti che appartengono a ogni esperienza normalmente compiuta. Considero questo fatto la sola base sicura su cui poter costruire una teoria estetica”[2]. La crisi dell’esperienza della vita che caratterizza la modernità, e che si traduce in arte povera di senso (ma perché è pur sempre arte del potere che va esattamente in questa direzione), ci priva della libertà di agire come individui ecco perché l’ipotesi di un approccio diverso con l’oggetto “opera” può aiutare una visione diversa di questa post-contemporaneità claustrofobica attraverso semplici gesti: riflettere, toccare, completare, agire. Poiché, però, non stiamo realizzando un freddo esperimento scientifico ne tantomeno la nostra ottica è positivistica, bisogna pur dire che l’esperienza non esaurisce tutta la vita e nemmeno tutta la conoscenza; ci deve essere una conoscenza per connaturalità che si esercita col giudizio attraverso l’intelletto. Un buon modo per evitare questa rigida visione pseudo-scientifica è aggiungere ai concetti di esperienza e partecipazione quello di gioco. Arte come momento di consapevolezza personale, quindi, ma anche come gioco (“un libero gioco di fantasia ed intelletto” per dirla come Kant riguardo al giudizio di gusto) poiché attraverso la libertà “guidata” l’agire porta a scoperte personali difficilmente attuabili diversamente. Una modalità anche per non prendersi troppo sul serio e lavorare con la consapevolezza che solo attraverso ipotesi e sperimentazioni si riesce a ricreare quello strappo, o meglio distanza, tra l’arte e il mondo.
Definire iGallery, data la natura disorganica dell’esposizione, sarebbe forviante. L’idea dell’evento è venuta in seguito alla morte del fondatore di Apple Steve Jobs. Riconoscendolo come figura significativa di questi ultimi anni si era pensato ad una sorta di omaggio. Avevamo individuato nella diversità dei suoi prodotti-icona (iPod, iPad, iPhone) un campo di sperimentazione, in particolare per quanto concerne l’aspetto e il gesto del toccare (touch), gesto dalle infinite valenze e che apre ad interessanti riflessioni sul senso della tecnologia e del suo rapporto, sempre più stretto ed intimo, con l’individuo. Questa relazione personale, insita del resto nell’idea di opera come simulacro (es. il piede consumato del San Pietro di Arnolfo di Cambio), che si sarebbe instaurata con l’opera avrebbe avuto come conseguenza una percezione diversa del dato artistico. Toccare l’opera e interagire con essa, al di fuori però della dimensione virtuale dello strumento tecnologico, comporta un coinvolgimento di tutta la persona che non si deve limitare solo a vedere (e percepire) ma deve completare il lavoro diventando a sua volta “artista”. Vedere e toccare, del resto, va proprio contro l’ottica dell’arte contemporanea istituzionalizzata (e quindi privata di vita e relazione) che si rinviene nei musei, un’arte che non ha avuto nemmeno la possibilità di agire nello spazio e nel tempo, e quindi di storicizzarsi. Naturalmente non sta qui il futuro di un’arte interattiva e di un’estetica virtuale che vuole evolversi seguendo i cambiamenti storico-sociali-tecnologici della società: noi siamo come quegli illustratori che negli anni Cinquanta immaginavano il futuro con modalità diverse da come si è poi evoluto. Scrive infatti Paolo Rosa: “per interattività intendo quella relazione “intercettata” sotto forma di dati informativi, che la distingue in modo netto dalla semplice definizione di interazione, in quanto risulta essere una relazione diretta e in qualche modo più intima. Vale a dire che grazie alle nuove tecnologie si rende possibile interferire sui processi relazionali, raccogliendo attraverso interfacce i più svariati dati sensibili, per trasferirli in uno dei tanti database. Se al posto di utilizzarli, come avviene, per scopi di marketing o di sorve­glianza, riuscissimo virtuosamente a renderli tracce vive e partecipative, avremmo un mezzo straordinario per accrescere il senso di condivisione, di elaborazione costante, che alla fine sono validi strumenti di costru­zione d’identità, di unicità, di appartenenza”[3]. Se esiste ed è esistito un paleo-futuro può esistere allora anche un’arte paleo-interattiva che mostra tutto il suo legame col Novecento storico e, soprattutto, col futurismo per quanto concerne l’aspetto di rottura dei canoni e dei limiti in chiave anti-accademica e il coinvolgimento del pubblico. Una mostra “vintage” ma con tanti orizzonti di senso dettati dalle diverse proposte degli artisti, proposte che spaziano dalla street art dove maggiormente si rinviene l’idea di gioco e partecipazione “anarchica” all’arte concettuale che deve molto alle teorie gestaltiche (psicologia della forma e del colore). Dal coinvolgimento emotivo dettato dal gesto che incide e lascia una traccia alla sostituzione virtuale con l’artista, dalla (ri)creazione modulare di una forma alla materializzazione dell’evento.
Per Dewey fare esperienza equivale sempre a fare un’esperienza “estetica” per la relazione che si instaura tra spazio dell’oggetto e spazio del soggetto; l’arte ha infatti la capacità di “rendere intensa e concentrata l’espe­rienza”. Interagire con l’oggetto artistico aumenta, qualitativamente, la nostra esperienza? Partecipare nell’opera modifica la condizione dell’opera e la nostra? Chi è l’artista e dove finisce (o quando termina) l’opera d’arte? Nell’evento o nella durata? E’ accettabile, nel tempo del virtuale, ancora il contatto e quanto può essere “artistica” la relazione? Queste ed altre domande abbiamo voluto far nascere dall’esposizione che già dal titolo si mostra “ontologicamente” diversa se consideriamo l’ormai celebre lettera I come un elemento accrescitivo e potenziatore del significato e della natura della proposta[4].
Tommaso EVANGELISTA

[1] J. Clair, Breve storia dell’arte moderna, Milano 2011, p. 32.
[2] J. Dewey, Arte come esperienza, Palermo 2007, p. 70
[3] Oltre i confini delle immagini: l’estetica delle relazioni. Conversazione con Paolo Rosa a cura di B. Di Martino, in Studio Azzurro, Tracce, sguardi e altri pensieri, a cura di B. Di Martino, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 49.
[4] Riguardo all’influenza del pensiero di Dewey nell’arte e nella società contemporanea si veda L. Russo (a cura di), Esperienza estetica a partire da John Dewey, Palermo 2007.

Donare

Michel Quoist 
Le Havre 1921 - 1997 
 
 Roma 1968
 
è con questo stesso libro,
dalla copertina così rovinata,
perchè letto e riletto,
che ho percorso la mia vita 
dai 13 ai 18 anni.
Imparando che
amare vuol dire donare.
 
 
"..gli amici mettono tutto in comune: 
la loro gioia, la loro pena, la loro vita
e paticolarmente i loro sforzi
per diventare migliori...."
 
"...amare significa guardare
insieme 
nella medesima direzione..."

 

giovedì 12 gennaio 2012

Piccole Donne



Louisa May Alcott  
Germantown 1832 - Boston 1888


Piccole Donne che ho letto



Piccole donne che ho visto




 Piccole Donne Crescono



......ed io ero sempre Jo......






martedì 10 gennaio 2012

Johann Wolfgang von Goethe

Francoforte sul meno 1749 - Weimer 1832


Ho tanto, e il sentimento di lei divora tutto; 
ho tanto e senza di lei di tanto non mi resta niente.

Julio Cortázar

Bruxelles1914 – Parigi 1984
Questa notte, cercando la tua bocca
in un’altra bocca
quasi credendoci, perché così
da cieco è questo fiume
che attira nella donna e mi
sommerge fra le sue palpebre
che tristezza nuotare infine verso la
riva del sopore
sapendo che il sopore è questo
schiavo ignobile
che accetta le monete false,
le fa circolare sorridendo.
Scordata purezza, come vorrei
riscattare questo dolore di Buenos Aires, questa
attesa senza pause né speranza.
Solo nella mia casa aperta sul
porto
un’altra volta incominciare ad amarti
un’altra volta incontrarti al cafè
la mattina
senza che tante cose irrinunciabili
fossero accadute
e non dovermi accontentare di questo
oblio che sale
verso il nulla, per cancellare dalla
lavagna i tuoi pupazzetti
e non ritrovarmi soltanto una
finestra senza stelle.
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Se della tua bocca non so che la tua voce
E dei tuoi seni solo il verde o l'arancione 
delle tue bluse, come posso avere la presunzione di
avere di te più della grazia di un'ombra che passa sull'acqua.
Nella memoria porto gesti, la moina che tanto felice mi faceva,
e questo modo di restartene in te stessa, con il curvo riposo
di un'immagine d’avorio.
Non è gran cosa questo tutto che mi resta.
In più opinioni, collere, teorie,
nomi di fratelli e sorelle,
l'indirizzo postale e il numero del telefono,
cinque fotografie, un profumo di capelli,
una pressione di mani piccole fra le quali nessuno direbbe
che mi si nasconde il mondo.
Questo tutto me lo porto senza sforzo, perdendolo poco a poco.
Non inventerò l'inutile menzogna della perpetuità,
meglio passare i ponti con le mani
piene di te,
tirando via a piccoli pezzi il mio ricordo.
Dandolo alle colombe, ai fedeli passeri,
che ti mangino fra canti, arruffio e svolazzi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se devo vivere senza di te, che sia duro e cruento,
la minestra fredda, le scarpe rotte, o che a metà dell'opulenza
si alzi il secco ramo della tosse, che latra
il tuo nome deformato, le vocali di spuma, e nelle dita
mi si incollino le lenzuola, e niente mi dia pace.
Non imparerò per questo a meglio amarti,
però sloggiato dalla felicità
saprò quanta me ne davi a volte soltanto standomi nei pressi.
Questo voglio capirlo, ma mi inganno:
sarà necessaria la brina dell'architrave
perché colui che si ripari sotto il portale comprenda
la luce della sala da pranzo, le tovaglie di latte, e l'aroma
dl pane che passa la sua mano bruna per la fessura.
Tanto lontano ormai da te
come un occhio dall'altro,
da questa avversità che assumo nascerà adesso
lo sguardo che alla fine ti meriti.


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domenica 8 gennaio 2012

Le Sorelle Brontë

Charlotte Brontë  Currel Bell 
Thornton 1816 - Haworth 1855

Jane Eyre
1847









Emily Jane Brontë, Ellis Bell 
Thornton 1818 - Haworth 1848


Cime Tempestose
1847



"Non era lo spino che si curvava verso i caprifogli, 
ma i caprifogli che abbracciavano lo spino. 
Nessuna concessione reciproca: 
l'una non cedeva mai, e gli altri si piegavano sempre"


Giochi ogni giorno














Giochi ogni giorno con la luce dell’universo.
Sottile visitstrice, giungi nel fiore e nell’acqua.
Sei più di questa bianca testina che stringo
come un grapolo tra le mie mani ogni giorno.
A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle.
chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.

Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.
Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s’ancorarono al cielo.
Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all’ulitmo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Tuttavia qualche volta corse un’ombra strana nei tuoi occhi.
Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli,
ed hai persino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle
io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Abbiamo visto ardere tante volte l’astro baciandoci gli occhi
e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.

Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo persino padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri,copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.

Pablo Neruda

William Shakespeare

           Stratford-upon-Avon 1564 - 1616
Se proprio devi odiarmi
fallo ora,
ora che il mondo è intento
a contrastare ciò che faccio,
unisciti all'ostilità della fortuna,
piegami
non essere l'ultimo colpo
che arriva all'improvviso
Ah quando il mio cuore
avrà superato questa tristezza.
Non essere la retroguardia
di un dolore ormai vinto
non far seguire ad una notte ventosa
un piovoso mattino
non far indugiare un rigetto già deciso.
Se vuoi lasciarmi
non lasciarmi per ultimo
quando altri dolori meschini
avran fatto il loro danno
ma vieni per primo
così che io assaggi fin dall'inizio
il peggio della forza del destino
e le altri dolenti note
che ora sembrano dolenti
smetteranno di esserlo
di fronte la tua perdita.







George Orson Welles

    Kenosha 1915 - Hollywood 1985



  Quarto potere 1941

 

 Il Terzo uomo 1946

(sceneggiatore)

nulla cambia mai